Chi sono? Forse un caso umano
Per capire chi sono mi ci sta volendo un po’.
Partiamo dagli inizi, così che possiate comprendere bene la mia storia. Sono entrata nel mondo della fotografia in terza superiore, avendo frequentato l’istituto tecnico pubblicitario. Me ne innamorai al primo colpo, per il semplice motivo che era “lineare” nei suoi meccanismi. Essendo dislessica, mi perdevo con una certa facilità (anche tutt’ora). Studiando i meccanismi della fotografia e i suoi funzionamenti tecnici, capii che questa era il mezzo ideale, che riuscisse a strapparmi più di tre parole al giorno (non ero tanto loquace ai tempi). Riuscii in un anno a mettere abbastanza soldi da parte per permettermi la mia prima macchina fotografica, la canon 1000d. Tenendola in mano compresi che era l’unica cosa che riuscissi a fare bene della mia vita.
Decisi di intraprendere la strada di fotografa. Imparai la storia della fotografia non solo a scuola, ma anche da un’educatrice che mi fece conoscere le donne all’interno del mondo della fotografia, quando pensavo, ancora ingenuamente, che il palcoscenico dovesse essere occupato esclusivamente dagli uomini (avevo 16 anni e non capivo molto la disparità tra uomo e donna).
Tre donne mi fecero amare ancor di più la fotografia: Francesca Woodman, Diana Arbus e Nan Goldin. Fotografe straordinarie, le loro immagini sono letteralmente un pugno in faccia, non possono che rimanere impresse. Volevo diventare come loro, riuscire a raccontare uno spaccato di vita che pochi sanno o che si fa fatica a raccontare (quanto ero paladina della giustizia). Da loro iniziai a immergermi in questo mondo.
Ci furono i primi ostacoli verso i 18 anni, non fisici ovviamente, ma mentali. Per quanto avessi imparato la tecnica, mi mancava la verve, quella che ti permette di sapersi vendere alla gente. Facendo fatica con le parole, puntai sul vecchio passa parola: almeno i fatti in qualche modo parlavano ed ogni tanto qualcosa funzionava.
Il timore dentro di me si faceva sentire, ed era parecchio forte. La sensazione di fallire e di non riuscire a farcela era parecchia, dopotutto avevo 18 anni ed ero uscita da poco dalle superiori.
Non ero abbastanza preparata per il mondo lavorativo. Per quanto le aspettative fossero alte, la realtà parlava diversamente.
Per un momento fui convinta di lasciar perdere totalmente e fui tentata di vendere quell’attrezzatura che mi ero guadagnata con il tempo.
Provai a iscrivermi all’università, ma andò male per due anni di fila. Non ero abbastanza “intelligente” per la carriera universitaria.
Quindi occupai il mio tempo con i corsi di formazione finanziati dalla regione Emilia-Romagna.

Tra stage gratis e formazione, riuscì a cavarmela con la grafica anche se non mi interessava più di tanto o non mi prendeva quanto fare foto.
Una mia vecchia educatrice che ora è diventata una mia cara amica, mi convinse a tentare nuovamente l’accademia delle belle arti di Bologna.
Entrarci era uno dei miei sogni, l’anno precedente avevo tentato di entrare al corso di Design grafico ma non ero stata presa.
Tentai un’altra volta, scelsi l’indirizzo Cinema, Fotografia e Televisione. Preparai il materiale adeguato per affrontare la commissione; portai tutto ciò che sapevo fare dalla grafica 3D, design grafico, montaggio video e foto. Avevo un Cv vasto forse per alcuni un po’ too much.
L’esame era a Settembre ed ebbi la conferma lo stesso mese. Mi prese una gioia immensa; era una delle poche conferme che la vita mi stava dando, quella di aver imboccato la strada adatta. Con un tour de force venni lanciata in mezzo all’arte contemporanea con diversissimi stili. Capii che era il mio mondo, mi piaceva, e ci stavo intere giornate.
E fu allora che iniziò la mia vita da pendolare e la relazione tumultuosa con TreniTalia. Imparai e soprattutto scoprii altri modi di comunicare. Mi appassionai di documentarismo attraverso un workshop ed a fine corso feci un documentario che venne proiettato all’interno dell’accademia.


Ero meravigliata dalla potenza visiva che il video poteva trasmettere, ed insieme ai racconti della gente poteva lasciare un ricordo indelebile. Oltre all’interessamento nell’ambito del documentarismo, iniziai ad interessarmi all’animazione tradizionale e quella digitale. Scoprendo tecniche che non conoscevo e che univano due mie passioni: il video e la fotografia.
Arrivati a sto punto vi direte, “Fra, di quante cose ti stai appassionando, ma ce la fai a farle tutte? Soprattutto ti converrebbe farne una e farla bene”.
L’ho pensato anch’io e me l’hanno consigliato per il mio stato mentale, ma sinceramente non ce la faccio.
Per il più banale dei fatti, mi piacciono, mi mette adrenalina e sono soddisfatta quando imparo un settore che è totalmente lontano da quello che faccio di solito.
Sono arrivata al secondo anno di accademia apprezzando queste tre arti: fotografia, video e animazione, ma siamo a metà della cima.
Aspettate un po’.
Nel 2016 presa da un po’ di coraggio presentai la mia domanda di partecipazione per l’Erasmus e scelsi Lisbona. Meta che mi portò fortuna e grandi rivelazioni accademiche e interpersonali. Insomma ci ho lasciato il cuore e il fegato (l’alcol costava poco, l’avreste fatto anche voi).
Immersa nel continente portoghese, da sola e con una lingua che assomigliava un po’ all’italiano. Inizia così la folle avventura al FBAUL – Faculdade de Belas-Artes, Universidade de Lisboa.
Una facoltà enorme, ad ogni piano era dedicato un proprio settore artistico e la cosa che mi faceva gola era che davano agli studenti la possibilità di usufruire dell’aula o di una determinata attrezzatura.
“Mo!” direte voi, nei cinque mesi trascorsi a Lisbona, mi iscrissi a vari corsi tra cui animazione, sound, fotografia analogica e digitale. Già prima mi ero complicata la vita, con mille attività. Ora ne ho aggiunte altre, l’accademia occupa un’intera giornata.
Mi innamorai della tecnica del chimigramma il tutto si basava sull’uso di agenti chimici che agendo sui fogli fotografici reagivano. Da lì è nato uno spunto sulla materia. Come da essa si riesca a trasmettere e che si può utilizzare qualsiasi oggetto a noi a disposizione per tracciare sul foglio per poi divulgare ciò che è la nostra immagine.
Averlo scoperto mi ha messo nella condizione di indagare in profondità, e quello che ho trovato è una totale pace e distaccamento dal mondo. Entravo in camera oscura e me ne uscivo dopo due ore, e come se attivassi l’interruttore di disattivamento nella mia testa, era puramente goduria. Rimanevo nel frattempo nel mondo terrestre, il mio unico obiettivo era di portare la materia in superficie, usando materiali che mi potessero trasmettere questo messaggio. Usando principalmente gli oggetti quotidiani, volevo che risultasse primitivo, rozzo e che esprimesse il concetto di materia.
Un altro mezzo che mi ha aiutato ad indagare maggiormente è stato il suono, aneddoto divertente è che sono sorda nel lato sinistro e faccio fatica a captare determinati suoni. Soprattutto quelli bassi. Per aiutarmi maggiormente nell’uso del suono, mi immaginavo che ad ogni suono dovesse corrispondere una determinata immagine o sensazione, ed attraverso la linea del suono che si vede nella timeline (es: Adobe audition, premier o audacity) sono andata a lavorarci, elaborando il suono in modo tale che potesse risultare tale e quale a ciò che mi ero immaginata. Andando totalmente a distorcere e ribaltando il suono. Creando un’altra dimensione, rispetto a ciò che visivamente era rappresentato.
Grazie a questi due mezzi espressivi stavo realizzando che ciò che mi rappresenta maggiormente era la distorsione della realtà. Volevo che tutto ciò che vedevo fosse totalmente ribaltato, che la realtà non si mostrasse nel modo in cui la intendiamo noi. In fondo, l’essere umano vede solo ciò che vuole vedere, egoisticamente vogliamo imporci la nostra visione dei fatti.
Conclusi questi tre anni e ottenuto la laurea, mi sono chiesta e mo’ che faccio. Continuo una magistrale, o mi lancio nel mondo del lavoro. Decisi di prendere la strada del lavoro, volevo guadagnarmi un’indipendenza economica. Presi la via del lavoro, nell’ambito della grafica, non mi allontanai troppo dall’ambito artistico.
Il pensiero fisso, di realizzare forse quel sogno banale batte ancora. Il fatto è che ero troppo impegnata a creare la mia stabilità economica. Ed ho iniziato ad allontanarmi, un po’ per paura di non farcela e per poca volontà.
Ero in conflitto con me stessa, ogni volta, non ero mai soddisfatta di me. Sarà il segno zodiacale della vergine, ma non penso fosse così. Proveniva proprio da me, ed ho fatto i conti con la mia insoddisfazione per un paio di anni (più o meno, in questi anni ho anche avuto momenti soddisfacenti), perché vivo sempre in bilico di non farcela con i soldi, con il lavoro, con gli affetti ecc.
La mia ancora di salvezza poi è diventata un fastidio, qualcosa di troppo ingombrante, che risuonava nella mia testa, che non sarei riuscita mai a realizzare. Complice la mia insicurezza, questa stupida perfezione. Anche scontrandosi con il mondo del web, sull’essere al top o addirittura cercare di mostrare uno stile migliore rispetto agli altri. Seguire le tendenze, copiare e incollare.
Insomma, mi stava dilaniando e anche deprimendo un po’ per tutte queste esposizioni. Presi la decisione di mollare un po’ la presa, ossia di staccarmi dai social: cancellai tutto, disattivai tutto quanto. Volevo semplicemente “sparire”, ero esausta di quel vortice di notifiche e di me stessa, del pensiero di non farcela o di non raggiungere mai quei livelli che mi ero ripromessa. In quei mesi di assenza, ho capito l’importanza di annoiarsi, di scrivere un’idea e poi farla invece di rimandare ogni volta. Ho capito che, dopo un po’, non me ne fregava più un cazzo di stare al passo con i trend o le nuove uscite. Quello che volevo fare, era semplicemente pubblicare a mio modo i miei contenuti, quando volevo. Ignorando i trend, i feedback, le risposte ecc. In fin dei conti non era roba che mi interessava, il mio intento era quello di riuscire a comunicare la mia idea, lo storytelling, qualcosa che potesse dare all’utente una riflessione, uno stimolo. Che fosse lui a decidere cosa provare.
Ragionamento contorto, ma veritiero a mio parere. Ognuno vede ciò che vuole a modo suo, per esperienze, background culturali ecc. Il “mio dovere” è quello di mettere in pubblica piazza ciò che penso, ciò che sto vivendo, e sarà l’altro a capire e farsi delle domande. Senza dovermi preoccupare più di tanto.
Un altro elemento importante che mi fece allontanare di più dalle solite cose era l’ossessione per l’estetica, tutta chic, perfetta. Provai con un’ottica nuova, quella di fare la mia fotografia, come cazzo pare a me.
Mi capitava di avere un’immagine strana nella mia testa, prendevo la mia macchina fotografica e andavo a farla. Senza stare lì a immaginare, mille dettagli. Volevo semplicemente fare quella foto.
Una volta entrata in quel mood ero felice; felice di tornare a casa e di mettermi dietro a maneggiare i comandi di luci, ombre e via dicendo. Trovai anche il mio stile di colorazione fotografica, sia a colori che in bianco e nero.
Per poi pubblicarla in rete ed essere felice del mio lavoro. Dimenticandomi dei like e delle reazioni della gente.
Tutto sommato sono un po’ un caso umano, indeciso, caotico, non ordinario. Ed è la verità, riflettendoci. Sono felice di essere così, di percorrere questa strada, con le mie insicurezze e paure di non farcela (questo bellissimo autosabotarsi).
Sono felice di essermi messa davanti ai vostri schermi, di raccontare chi sono e di questo percorso fotografico. Lo racconterò a modo mio, tramite la scrittura e il podcast. Qualsiasi mezzo è valido, l’importante è che se ne parli.
